Estratto da un testo redatto dal Dott. Alberto Barozzi presso Aion Bologna in data 7 novembre 2016

. INTRODUZIONE.

I. COMPLESSI A TONALITA’ AFFETTIVA.

II. ANIMA E ANIMUS.

III. ANIMA E ANIMUS NELLE FIABE.

IV. CONCLUSIONI.

V. BIBLIOGRAFIA.

.INTRODUZIONE.

Anima e Animus sono due aspetti centrali nella psicologia Junghiana e di riflesso nella psicoterapia analitica, essi rappresentano due aspetti archetipici , quindi di convesso due nuclei complessuali, una sigiza presente in ogni individuo. Lo scioglimento o meglio il riconoscimento e integrazione di questi due aspetti, è già da considerarsi come una parte avanzata di una analisi. Questa affascinante “coppia archetipica” è spesso rappresentata e illustrata in vari testi Alchemici, spesso con le “nozze chimiche” tra Rex e Regina, colti nell’atto della copula o con altre variazioni mitologiche e divine. Ciò che spesso nella cultura popolare appare nei luoghi comuni, come ad esempio: “Alla sfera del femminile appartiene l’Eros, le relazioni interpersonali, l’apparenza angelica, la lussuria, la crudeltà ecc., e alla sfera maschile il Logos, l’astrazione, il pensiero, la tendenza a giudicare e sentenziare ecc.”, sono forzature che non tengono in considerazione l’ampiezza di questa sigiza. Il rischio è razionalizzare col pensiero ciò che per sua natura è non è razionalizzabile. In particolare poi c’è da tenere presente che come ci insegna la fisica dei quanti, l’osservatore modifica l’oggetto osservato, ovvero come dice la Von Franz:

“Nell’inconscio tutti gli archetipi si contaminano a vicenda. […] Un motivo viene scelto solo quando viene esaminato dalla coscienza. E’ come se essa puntasse un proiettore, non importa verso quale punto, poiché in un modo o nell’altro raggiunge sempre l’inconscio collettivo nella sua totalità” (Von Franz, Le fiabe interpretate, p.13).

In questa relazione saranno presi a riferimento alcuni aspetti di questi complessi che sono evidenti nelle Fiabe.

I. COMPLESSI A TONALITA’ AFFETTIVA.

Come sopra accennato, Anima e Animus possono essere collocati tra i complessi. La psicologia Junghiana, come noto, può essere anche chiamata, oltre che analitica, psicologia complessa, così da sottolineare l’importanza dei complessi stessi. La teorizzazione dei complessi ha una linea continua con tutto il lavora di Jung, già a partire dai primi lavori al Burghölzli in collaborazione con Bleuler utilizzando il test delle associazioni verbali. Come sostiene Jung, sintetizzato da Jacobi:

“I complessi, secondo la definizione di Jung sono le parti psichiche frantumate della nostra personalità, gruppi di contenuti psichici che si sono staccati dalla coscienza e funzionano in modo arbitrario e autonomo, “conducono un’esistenza a parte nelle zone oscure dell’anima, donde possono in ogni momento ostacolare o favorire le prestazioni coscienti” (Jung, Tipologia Psicologica, p.531). Il complesso è costituito primariamente di un nucleo elementare portatore di significato, nucleo per lo più inconscio e autonomo, non dirigibile quindi dal soggetto, e secondariamente dalle numerose associazioni ad esso collegate, contraddistinte da una comune tonalità affettiva, le quali a loro volta dipendono in parte dalla disposizione personale originaria e in parte da esperienze in connessione causale con l’ambiente. “L’elemento nucleare, relativamente al suo valore energetico, ha forza costellante” (Jung, Energetica psichica, cap.1, b).” (Jacobi, La Psicologia di C.G. Jung, p.54).

Interessante notare come formulazioni teoriche psicodinamiche attuali, utilizzino con linguaggio differente la medesima rappresentazione dei complessi, infatti come scritto sul Manuale di psicoterapia TFT “Psicoterapia psicodinamica dei disturbi di personalità: Un approccio basato sulle relazioni oggettuali” di J.F. Clarkin, F.E. Yeomans, O.F. Kernberg, (Giovanni fioriti Editore), essi vengono chiamati “diadi di relazioni oggettuali”. Infatti a pagina 8 si legge:

“Le relazioni oggettuali interiorizzate sono mattoni di cui sono composte le strutture psichiche e fungono da principi organizzatori della motivazione e del comportamento. I mattoni di base delle strutture psichiche sono unità costituite da una rappresentazione di sé, un affetto connesso ad un impulso o rappresentativo di esso, e una rappresentazione dell’altro (l’oggetto dell’impulso). Queste unità di sé, altro e dell’affetto che li unisce, sono le diadi di relazioni oggettuali (id., p.8).

Questo modello teorico appare come una parzializzazione sicuramente non volontaria del modello complessuale Junghiano, limitandosi a dare una lettura nel qui e ora e trascurando completamente la matrice archetipica del complesso, da sempre negata in ambito psicodinamico ortodosso.

II. ANIMA E ANIMUS.

Citando Jacobi, “La seconda tappa del processo di individuazione è caratterizzata dall’incontro con quelle immagini dell’anima che Jung chiama con le voci latina Anima, nell’uomo, Animus, nella donna. Ciascuna di queste figure archetipiche dell’immagine dell’anima rappresenta la parte della psiche che ha attinenza col sesso opposto e indica sia la conformazione del nostro rapporto con esso sia il deposito dell’esperienza collettiva umana al riguardo. E’ dunque l’immagine dell’altro sesso che portiamo in noi, come esseri singoli e come appartenenti alla nostra specie. “Ogni uomo porta in sé la sua Eva”, dice un proverbio (Jacobi, id., p. 143).
Queste figure, questi “oggetti interni” sono una sorta di fantasmi, enti immaginari, dotati però della caratteristica di poter aggregare e compattare attorno ad essi una notevole quantità di carica affettiva, tale da “catturare” il soggetto. Infatti, sempre Jacobi scrive:

“L’immagine dell’anima è un complesso funzionale più o meno saldamente costituito, e il non potersene differenziare è causa di fenomeni quali la bizzarria del maschio dominato da istinti femminili, guidato dalle emozioni, o la saccenteria della donna raziocinante, che reagisce in modo maschile e non istintivo, posseduta insomma dall’Animus. “Si fa talvolta notare in noi una volontà estranea, che fa il contrario di ciò che vogliamo o approviamo. Non è necessariamente il male ciò che fa quest’altra volontà; essa può anche volere il meglio ed essere allora avvertita quale ente direttivo e ispiratore, quale spirito protettivo o genio nel senso del demone socratico” (Emma Jung, Ein Beitrag zum Problem des Animus). Si ha allora l’impressione che un’altro, una persona estranea “abbia preso possesso dell’individuo”, che “un altro spirito sia entrato in lui” ecc., secondo le espressioni del linguaggio corrente. Quanti intelletuali raffinati si son visti perdersi irrimediabilmente con prostitute, perché il loro lato emotivo femminile è affatto indifferenziato! E quante donne, senza che si capisca come, incappano in avventurieri o millantatori di cui non sanno più staccarsi” (Jacobi, La psicologia di C.G. Jung, p. 144).
Il potere di questa sigiza archetipica, ha influenzato tutta la produzione umana, dall’esperienza spirituale, la narrazione mitologica, l’arte, la poesia, e naturalmente le fiabe.

III. L’ANIMA NELLE FIABE.

Una delle studiose ed analiste che più si sono occupate di fiabe è certamente Marie Louise Von Franz. Una professionista di grande cultura e preparazione che poteva vantare due attributi ineguagliabili: un pensiero perfettamente aderente al modello Junghiano e una chiarezza espositiva cristallina. Nel testo “Le Fiabe interpretate”, così apriva l’esposizione:

“Le fiabe sono l’espressione più pura e semplice dei processi psichici dell’inconscio collettivo. Per l’indagine scientifica dell’inconscio esse valgono perciò più d’ogni altro materiale. Le fiabe rappresentano gli archetipi nella forma più semplice, più genuina e concisa. In questa forma così pura, le immagini archetipiche ci offrono i migliori indizi per comprendere i processi che si svolgono nella psiche collettiva. Mentre nei miti, nelle leggende, o in qualunque altro materiale mitologico più elaborato, noi scopriamo i modelli fondamentali della psiche umana rivestiti di elementi culturali, nelle fiabe il materiale culturale, specificamente cosciente è presente in misura molto minore; esse riflettono, perciò, più chiaramente i modelli fondamentali della psiche” (Von Franz, Le fiabe interpretate, p. 1).
Il lavoro di interpretazione di una fiaba, è tutt’altro che semplice, infatti: “Jung disse una volta che dopo aver fatto un’interpretazione approfondita di una fiaba si ha bisogno di una settimana di vacanza per riprendersi da un compito così arduo” (Von Franz, L’Animus e l’Anima nelle fiabe, p.11).

Prendiamo ora in esame una fiaba di Anima, “La Principessa Nera”, nel racconto di Von Franz (Von Franz, Le fiabe interpretate, pp. 75-85).

“[…] un vecchio re e la sua anziana sposa sono senza figli, nonostante la regina ne desideri ardentemente. All’estremità del ponte che attraversa il fiume della città si trova un crocefisso, mentre sull’altra estremità si trova una statua marmorea di Lucifero […]. Tutti i giorni, la regina si reca sotto il crocefisso per chiedere al Cristo la grazia di una gravidanza, ma, dopo tanti tentativi, tutti invani, la regina si appella al diavolo rivolgendogli la stessa richiesta; e, dopo tre mesi, scopre di essere incinta. Il re sente di non essere padre di questo figlio, ma decide di non dire nulla e, dopo sei mesi, organizza una grande festa. Allo scadere dei nove mesi, la regina partorisce una bambina, nera come il carbone. Miracolosamente, la bambina in una solo ora cresce quanto i bambini normali crescono in un anno. E, diventata adulta nel giro di ventiquattro ore, si rivolge ai suoi genitori: “Oh padre infelice, oh madre infelice, ora io devo morire. Seppellitemi dietro l’altare della nostra chiesa e fate in modo che ci sia sempre una guardia accanto alla tomba tutte le notti. Se non farete così, tutto il paese verrà colpito da una terribile tragedia”. […] Così, la ragazza viene sepolta dietro all’altare, come aveva chiesto e tutte le notti un soldato guardiano viene mandato nella chiesa. Ma, tutti i giorni, quando la chiesa viene aperta alle quattro del mattino, il povero soldato di turno viene trovato morto e fatto a pezzi. Quando si sparge la voce della brutta fine che fanno i soldati che trascorrono la notte nella chiesa cresce tra il popolo una grande resistenza e nessun uomo è più disposto ad affrontare un rischio del genere. Per risolvere questo problema, il re assolda un reggimento di soldati da un paese straniero dove non erano ancora arrivate le voci degli orrori che si verificavano nella chiesa ogni notte.
Tre fratelli, un maggiore, un capitano e un soldato semplice, prestano servizio presso il reggimento. Il terzo fratello, il soldato semplice, sembra destinato a non concludere nulla di importante nella vita: beve e fa baldoria tutte le sere, sperpera denari e combina tanti guai da finire spesso n galera. Quando il maggiore viene chiamato a fare la guardia alla bara, riesce con un inganno, a mandarci al suo posto il fratello minore. Il giovane entra nella chiesa, si ferma in preghiera e poi sale sul pulpito, disegnando una piccola croce su ognuno dei gradini.
Durante la notte, la donna emerge dalla sua bara avvolta nelle fiamme e furiosa di trovare il soldato sul pulpito. Cerca di raggiungerlo, ma le croci sui gradini la ostacolano e la sua rabbia diviene talmente incontenibile che rovescia i banche e le statue della chiesa, accatastando il tutto per arrampicarvisi e uccidere il soldato. Per fortuna, proprio mentre la donna sta per raggiungere la sua vittima, l’orologio batte la mezzanotte ed ella deve ritirarsi nella bara. All’indomani, la gente è meravigliata vedendo il soldato uscire dalla chiesa, sano e salvo. Gli dicono che è davvero bravo e, di conseguenza, è giusto che ritorni a fare la guardia anche la notte successiva. Ma il giovane ne ha avuto abbastanza e, preso dalla paura, si dà alla fuga. Mentre scappa incontra un vecchio mendicante che gli dice di tornare a fare ancora la guardia, ma, questa volta, dovrà nascondersi nella nicchia dietro la statua della Vergine Maria. Il ragazzo segue le indicazioni del mendicante e quella notte, quando la donna nera esce dalla tomba, è più furibonda che mai. Lo cerca dappertutto e, proprio quando lo trova nascosto dietro la statua della Madonna, l’orologio batte di nuovo dodici colpi, rimandando la donna nella bara e salvando il soldato.
Quando la gente vede che il soldato è riuscito a sopravvivere a una seconda notte, nella chiesa, è ancora più meravigliata e convinta che il ragazzo dovrà tornarvi a far la guardia per la terza volta. Di nuovo il giovane vuole fuggire e, ancora una volta, incontra il mendicante che gli da un consiglio: questa volta dovrà infilarsi nella bara della donna nera non appena ella ne sarà fuori. Allora, dovrà rimanerci immobile, con gli occhi ben chiusi come se fosse morto, senza rispondere in alcun modo alle grida rabbiose di lei. La donna lo pregherà poi di lasciare la bara e, quando gli dirà con tono di voce giusto”Alzati Rodolfo!”, il soldato potrà uscirne. Il ragazzo fa tutto secondo le indicazioni del mendicante e, quando la donna nera smette di sbraitare, si trasforma in una bellissima fanciulla bionda e luminosa. All’apertura della chiesa, la mattina dopo, trovano il soldato e la donna, stretti in un abbraccio d’amore. I due si sposano e, più tardi, il soldato viene incoronato re. […] “ (Von Franz, Le fiabe interpretate, pp. 75-77).

L’autrice inizia la sua analisi riflettendo sulla funzione compensatoria di questa fiaba nell’uomo moderno cristiano o comunque occidentale, quindi di cultura cristiana, in particolare l’aspetto d’anima che si manifesta nella figura della Vergine Maria e del suo aspetto d’ombra. Infatti:

“Il cristianesimo e la crescita del culto della Vergine, hanno contribuito a creare la paura degli aspetti misteriosi della donna in tutta la sua concreta specificità, dando vita a fenomeni come la persecuzione delle streghe. Riuscire a unire gli aspetti paradossali del femminile in un’unica esperienza e a rimanere in relazione con essa è tutt’ora fra i compiti più ardui che gli uomini debbano affrontare. […] la Principessa nera vive secondo un ritmo vitale diverso dal nostro. Questo fatto corrisponderebbe a un fenomeno che possiamo osservare nella vita di tutti i giorni: l’Anima, nella sua caratteristica di atemporalità, cerca di tenere un uomo fuori dal hic et nunc. Non vuole che egli viva il presente e, in certe situazioni, crea gravi difficoltà al suo sviluppo psicologico emotivo. Un uomo posseduto dall’Anima mostra forme di comportamento non adeguate alla sua età anagrafica; per questo motivo si incontrano a volte anziani molto infantili o dei ragazzini troppo maturi e “saggi” per la loro età. ” (V. F., L’Animus e l’Anima nelle fiabe, pp.78-79).

L’analisi della autrice comincia considerando il fatto che il rapporto tra re e regina è sterile, ciò indica un mancato rapporto con l’ombra. Ella allora si rivolge proprio al regno ctonio, di cui l’ombra fa parte, al demonio. La figlia che nasce quindi da questa anomala unione è figlia di Lucifero, ha grandi poteri al di fuori della sfera spazio-temporale dell’umano. Così come la nostra la nostra coscienza rimane nel piano di spazio tempo ci rende impossibile capire l’inconscio che è privo di tali coordinate. Come nota Von Franz, la fiaba ribalta l’aspetto: gli archetipi dell’inconscio collettivo non possono comprendere la nostra vita perché impossibilitati di vivere su un piano spazio-temporale. La principessa nera quindi, vive su un piano diverso dal nostro conscio, l’Anima quindi cerca di tenere l’uomo fuori dal qui e ora. Essa cerca creare ostacoli allo sviluppo psicologico ed emotivo. La Principessa nera, in quanto aspetto d’Anima, trascina gli uomini in una possessione che non permette loro di avere pazienza, con la conseguenza che ne sono travolti ed uccisi. La Principessa Nera, vive di notte e dorme di giorno, così da indicare ancora più nettamente che essa appartiene al regno dell’Ombra, così come a molti uomini inconsapevoli di essa, la vivono in maniera pressante di notte nei sogni. Interessante notare che il soldato, che salverà tutti, è il più goffo e inadeguato, così come ad indicare che la funzione inferiore, ovvero quella meno integrata, è l’unica strada che può consentire una integrazione dell’Anima. Il soldato, usa prima due strategie transitorie, la prima disegna croci sui gradini per rallentare, la seconda nascondendosi dietro la statua di Maria Vergine. Queste strategie di approccio all’Anima sono precarie in quanto rimandano il vero e proprio confronto, ma già consentono un contatto non devastante. Solo il mantenimento della calma, il superamento dell’impulsività e dell’impazienza favorisce una situazione psicologica in cui l’inconscio tende ad integrarsi, infatti, il soldato, nella terza prova, si trattiene da qualsiasi reazione fingendosi morto. Come nota l’autrice, gli uomini che cadono vittime d un’anima fortemente costellata, sono propensi a scappare o ad abbandonare ogni cautela e provano ad affrontare la situazione di petto. Il suggerimento è da un lato seguire la fascinazione ma non caderci dentro, resistendo alle istanze urgenti dell’Anima. Cioè, entrare nella situazione, poi esistere alla sua seduttività. Citando l’autrice: “L’accettazione di un approccio così paradossale non è un compito facile per la coscienza maschile. E spesso viene vissuto come una forma di mortificazione o schiaffo morale. L’approccio prediletto del “puer aeternus” è un’altro: rivendicare il diritto di vivere una determinata situazione nella sua totalità, ma non riuscire ad accettare né la responsabilità né il vero impegno nei confronti di ciò che si è vissuto. L’accettazione del senso di responsabilità morale nei confronti delle situazioni che ci si trova a vivere nasce dalla necessità di dare un senso di ciò che facciamo. […] Cadere vittima della seduzione dell’Anima, per quanto questo possa creare problemi e complicazioni di ogni tipo, dà in ogni caso sensazione di entrare più pienamente nella vita. ” (Von Franz, L’Animus e l’Anima nelle fiabe, p.78-85).

V. CONCLUSIONI.

L’integrazione della sigiza archetipica Anima Animus è un fattore importantissimo per lo sviluppo della vita psichica degli individui ed essa è spesso meta avanzata di un percorso di analisi. L’aspetto archetipico, quindi legato all’inconscio collettivo, si può vedere molto bene dalle fiabe popolari, così come magistralmente dimostrato dalla Von Franz. La mancata integrazione d’Anima è oggi più che mai evidente, in particolare nelle società familistiche come quelle del bacino mediterraneo e Latino Americane. Oggi è estremamente facile osservare il fenomeno, in quanto il modello culturale attuale, spinge per una inflazione d’Anima. L’uomo inflazionato d’Anima è sicuramente più propenso ad acquisti e comportamenti compulsivi, così cari ad una società basata sui consumi.
Come dice l’autrice, a differenza dell’Animus, l’Anima può esprimere una forza assai mortifera, e a distanza di tanti anni, i fatti di cronaca odierni sembrano dimostrarlo.
L’aspetto della necessità di vivere immediatamente un impulso, di soddisfare subito un’esigenza, di vivere nell’immediato una situazione è tipico del puer aeternus, quelli che la nosografia attuale tratta come organizzazioni di personalità borderline, sembrano spesso soggetti incredibilmente inflazionati d’Anima. Essi infatti, passano direttamente da un impulso ad un agito, per parafrasare la nostra fiaba, non sono in grado di aspettare senza reagire immediatamente. Così come il soldato aspetta ad occhi chiusi e non reagisce alle provocazioni, così, dopo un lungo periodo di analisi, il paziente riesce a riconoscere le situazioni d’Anima e riesce ad anteporre un pensiero all’agito.

V. BIBLIOGRAFIA.

CLARKIN et Al. (2011), “Psicoterapia psicodinamica dei disturbi di personalità: un approccio basato sulle relazioni oggettuali” Giovanni Fioriti Editore.

JACOBI J., (1976), “La psicologia di C.G. Jung”, Universale scientifica Boringhieri, Torino.

JUNG C.G. (1976), “OPERE, Volume 5”, “Simboli della trafromazione”, Bollati Boringhieri, Torino.

JUNG C.G. (1976), “OPERE, Volume 6”, “Tipi Psicologici”, Bollati Boringhieri, Torino.

VON FRANZ M.L. (2002), “L’Animus e l’Anima nelle fiabe”, Maggi Edizioni, Roma.

VON FRANZ M.L. (1970), “Le fiabe interpretate”, Bollati Boringhieri, Torino.

Dott. Alberto Barozzi

www.albertobarozzi.com

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