Il capitolo Tango è tratto dal romanzo Papas Calientes che narra la storia vera di un Comandante della Legione Straniera francese negli anni 80. Un uomo dall’animo sfaccettato che ha vissuto l’orrore della guerra e che, rientrato in Italia, decide di cambiare vita gestendo una milonga e raccontandosi per la prima volta ad una ballerina di tango. Non solo un libro d’avventura, ma anche un viaggio interiore nell’animo di un uomo che ogni giorno deve fare i conti con la propria coscienza.
Capitolo 26
TANGO
Io
Ho iniziato a ballare il tango perché non potevo vivere senza.
Da sempre sono appassionata di danza ed in gioventù l’ho cercata ovunque essa si trovasse, nelle palestre, nei teatri, anche in discoteca.
Poi sono cresciuta, ma non ero abbastanza dotata per farne una professione, così ho dovuto smettere. Però mi mancava.
Un giorno ho saputo che vicino a casa mia si tenevano corsi di tango.
Avvicinai il responsabile e gli chiesi come fosse strutturato e di cosa si trattasse, visto che non ne sapevo nulla.
Il tango è soprattutto una filosofia di vita, se te ne innamori, poi non lo lascerai più.
Ne fui spaventata, non ero ancora pronta a dedicarmi anima e corpo ad una disciplina tanto esclusiva, così mi iscrissi ai balli latini. Per due anni dimenai il culo sui ritmi sudamericani che credevo fossero più affini al mio carattere.
Ma non bastarono, mi sembrava tutto troppo semplice, senza struttura né anima.
Così tornai da quel responsabile e cominciai col tango.
All’inizio non mi sembrò complicato, i passi erano basilari e la musica ritmata e facile da seguire.
Tuttavia bisognava abbracciarsi ed io non ero abituata.
L’abbraccio è un momento intimo, dedicato alle persone care o agli amanti, non a sconosciuti che incontravo in un locale e che poi non avrei rivisto se non in situazioni simili.
La seconda difficoltà, ma non meno importante, era lasciarsi andare al partner.
Nel tango non esistono figure prestabilite, ma passi sempre diversi che sono guidati dall’uomo e che io dovevo interpretare. Seguidora, ovvero donna che ascolta, riceve energia, movimento e li trasmette al proprio corpo.
Sembra facile, ma la scarsa abitudine alla fiducia verso l’altro, mi resero il compito piuttosto arduo.
Passarono due anni prima che riuscissi a scollegare la razionalità.
Con gli occhi chiusi, imparai ad ascoltare oltre alla musica, il corpo dell’altro, la sua idea di movimento, la sua intenzione.
Poi capii: tango, violino, pianoforte, bandoneon, energia, battito del cuore, respiro.
Mi appassionai sempre più, iniziai a leggere libri, ad ascoltare le orchestre più conosciute, ad andare a teatro dove i grandi ballerini si esibivano in spettacoli dai contenuti quasi folkloristici, con salti e piroette, gambe che volavano da tutte le parti, ballerine dalle forme rotonde abbigliate con abiti luccicanti che scolpivano l’aria con movimenti sensuali, a volte ginnici.
Però non era quello che cercavo, volevo qualcosa di più intimo e meno urlato.
Incontrai un pianista argentino, amante appassionato di Piazzolla, che lo aveva conosciuto in gioventù poco prima che morisse.
Ha una moglie bella e molto raffinata, la sua musa ispiratrice.
Una coppia solidale ed amorosa, che ha continui scambi intellettuali e passioni in comune. Cinema, pittura, filosofia, ogni occasione è buona per una discussione accorata, tenendosi per mano.
Quando li ho conosciuti, ho provato invidia per il loro rapporto, così tenero e mai banale. Mi sembrava che insieme volassero in alto, mentre a terra avevano le radici profonde dei figli e della quotidianità.
Cercai di non mancare ai suoi concerti perché il suono che usciva dal
pianoforte mi riconciliava con la vita, mi faceva provare emozioni intense, qualche volte mi commuoveva.
Non si trattava semplicemente di tasti toccati o percossi con le dita, l’essenza usciva da quello strumento a coda.
L’animo gentile e determinato di un uomo che aveva studiato per tutta la vita e che oggi riversava sulla tastiera i suoi momenti felici, le inquietudini, il dolore e la gioia.
Il suono mi catturava, mi portava in un’altra dimensione mentre lo guardavo rapito e concentrato donare tutto se stesso al suo pubblico.
In silenzio, senza applausi tra un brano e l’altro, era quello che semplicemente chiedeva con la sua voce tranquilla dalla leggera inflessione portena.
Una richiesta lecita che stupiva, ma poi diventava comprensibile ed apprezzata da tutti.
Un filo musicale e denso ci portava lontano, senza interruzioni.
Poi il Maestro terminava e dopo qualche secondo ancora di sospensione, le mani partivano da sole e finalmente libere, trasformavano la platea in un’unica entità scrosciante.
Diventammo amici, ma il rispetto che provavo per lui mi suggeriva di non chiedere esibizioni personali. Suonava solo quando lo desiderava e nel modo che riteneva più opportuno. Quasi fosse un rito che solo lui poteva decidere quando e come officiare.
Questo rafforzò l’amore per il tango e lo nobilitò da semplice modo per svagarsi, a grande passione totalizzante.
Ormai non frequentavo quasi più gli amici di un tempo, assorbita da corsi di perfezionamento, stages e serate in milonga.
Ecco perché entrai con entusiasmo al Papas Calientes e decisi di aiutare Alessandro nella gestione del locale.
Il ballare oggi è diventato facile, così come mettersi in ascolto del ballerino e capire senza dubbi la sua richiesta.
Ho imparato anche a non tacere, a dire la mia nel tango, come nella vita.
Bisogna farlo piano, senza esagerare, senza spaventare l’uomo, semplicemente sussurrando con gentili movenze, la propria idea di interpretazione della musica.
E’ diventato un gioco di scambi che quando riesce, si trasforma in un piacere appagante.
Cosa provi quando balli, Alessandro?
Gli chiedo mentre sta facendo strane ricerche sul computer.
Scusami, adesso sono impegnato, ti va se ne parliamo tra poco, appena ho finito?
Un modo gentile per scaricarmi.
Certo, torno in sala a preparare le ultime cose, stasera abbiamo un centinaio di prenotazioni, sarà una bella serata. Intanto vado a prendere il nostro dj che sta arrivando in treno.
Aspetta, appena finisco ci vado io, così hai il tempo per cambiarti.
Va bene, a dopo.
Da qualche giorno Alessandro sembra in apprensione per qualcosa. Ho provato a chiedergli il motivo, ma come sempre ha risposto in modo distratto ed evasivo.
Sembra che abbia il pensiero altrove, quando riesco a convincerlo a ballare cede, ma in modo sconclusionato.
E’ dimagrito e ha le occhiaie tipiche di chi fa fatica a riposare.
Insofferente, vaga per la sala assente e lontano, tant’è che a volte lo invito ad andarsene, non credo che i nostri ospiti gradiscano la sua presenza. Quando vuole sa essere gentile e premuroso, mentre in questo periodo ha i nervi a fior di pelle e risponde in modo poco educato.
Non ne abbiamo bisogno, proprio adesso che il Papas sta rivivendo un momento di fulgore; è diventato un locale alla moda, dopo un periodo in cui i tangueros lo avevano abbandonato per piste più moderne.
La nostra è una milonga storica, dove le donne cercano i ballerini stando sedute e guardandoli a lungo, con gli occhi puntati vogliono comunicare la propria scelta.
A loro volta gli uomini possono rispondere con un leggero cenno del capo e magari con un sorriso. Poi si avvicinano alla dama e il ballo ha inizio.
Nei locali più giovani questa pratica della “mirada y cabezeo”, non esiste quasi più. I ragazzi sono meno formali, si avvicinano e semplicemente chiedono di ballare.
Qui preferiamo il metodo tradizionale perché dà la possibilità a noi donne di scegliere con chi abbiamo piacere di ballare e agli uomini di accettare o meno l’invito, senza il rischio di avvicinarsi e ricevere un categorico rifiuto.
Oltre all’umiliazione di non essere graditi alla dama, si aggiunge lo scorno, la paura della figuraccia nei confronti degli altri ballerini che possono aver assistito alla scena.
Non è un mondo facile, ha le sue regole forse un tantino démodé, però una volta assorbite, diventa tutto agevole e comodo.
Vedo Alessandro uscire dall’ufficio e venire verso di me.
Cosa mi stavi chiedendo prima?
Niente d’importante …
Dai non prendertela, dovevo finire un lavoro, dimmi su!
Stavo ripensando a quando ho iniziato a ballare e sono curiosa di sapere da te cosa provi.
Mi guarda malizioso e finalmente le ombre svaniscono.
Ma come, non lo sai? Non sei tu che affermi che attraverso un tango si può capire cosa passi per la testa del ballerino?
Mi sta prendendo in giro.
Va bene, ho capito che non ti va di rispondere.
Provo benessere, mi sento in pace. Ti basta?
Mi sta provocando.
No, ma me lo farò bastare.
Adesso guarda altrove, la finestra coperta dalla tenda rossa, non gli permette di spaziare come vorrebbe.
Sono pochi i momenti in cui mi riconcilio con me stesso, lo sai. Quando vengo qui mi sento a casa, la musica mi piace, la tua compagnia mi piace, il rum mi piace.
Ecco, è tutto molto semplice.
Lo guardo e cambio discorso. E’ su un altro pianeta.
Allora, vai tu in stazione?
Certo, parto subito. Ci vediamo tra mezz’ora.
Ciao.
Inutile fare domande banali ad un uomo che è altrove, non potrà che rispondere in modo adeguato.
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