C.G. Jung, è spesso accusato di a-scentificità, di essere una specie di “Guru” che usa terminologie metafisiche per descrivere aspetti non scientifici ma religiosi o altro. Credo che questa visione, popolare anche agli addetti ai lavori come di persone comuni, derivi da un aspetto di base: il linguaggio. La a-linearità che spesso disorienta dello stile di Jung nasce dalla sua scelta di esprimersi in una modalità circolare, così da riprendere continuamente e amplificare ininterrottamente i concetti toccati. Il suo poi continuo riferimento a concetti filosofici, umanistisci, storici, mitologici, religiosi, medici, poco noti se non ad esperti del settori, rende per il lettore medio la lettura drammaticamente incomprensibile. In una intervista concessa a J.P. Hodin nel 1952, a seguito di una obiezione circa la a-scientificità del suo lavoro Jung rispose:

“In anatomia comparata si parla di fenomeni morfologici, di organi umani corrispondenti a organi di animali inferiori. Si ammette per esempio, che nel corso della sua evoluzione l’uomo sia passato attraverso una serie di stadi primitivi. Del cavallo conosciamo la genealogia completa fino a milioni di anni fa, ed è su questi dati che si fonda la scienza dell’anatomia. Ebbene, esiste anche una morfologia comparata delle immagini psichiche e il folklore è uno dei campi in cui può svolgersi la ricerca sulle motivazione del comportamento umano. Io non ho fatto altro che studiare la morfologia comparata della psiche: se una persona fa un sogno e le immagini di quel sogno si ritrovano in forma identica nella mitologia, e questo si riscontra con regolare costanza, non siamo forse giustificati nel concludere che noi, oggi, funzioniamo ancora nello stesso modo di coloro che crearono quell’immagine mitologica?” […] (Jung Parla, gli Adelphi, p.285)

L’opera di Jung quindi, molto spesso è da un lato ignorata, in quanto costa troppa fatica leggerla, dall’altro è “violentata”, ovvero ne vengono presi termini e parcelle e viene costruito qualcosa che nulla ha a che fare col pensiero dell’autore. Ad esempio uno dei concetti considerato sicuramente ambiguo è quello di anima. Un addetto ai lavori di oggi, solo davanti a questa parola, scarterebbe a priori qualsiasi premessa scientifica; la parola anima verrebbe classificata come un termine appartenente alla spiritualità, alla religione, alla metafisica, all’occultismo, ecc.. Dall’altro lato un eventuale sedicente guru desideroso di affermazione, userebbe magari la presenza di questo termine magari per perorare la propria causa, ad. esempio dicendo: “Pure Jung credeva nell’anima quindi……”! Evidentemente nessuno di questi ha letto Jung, nessuno dei due può o vuole sapere che il termine anima ha, nella psicologia Analitica, una definizione ben determinata. Nell’opera 6, Tipi Psicologici, nelle sezione dedicata alle definizioni si legge (Opere, Vol. 6, Tipi Psicologici, pp.416-422) :

“Anima (Seele). Nel corso delle mie indagini sulla struttura dell’inconscio mi sono visto costretto ad attuare una distinzione fra il concetto di anima e quello di psiche. Per psiche io intendo la totalità dei processi psichici, tanto coscienti quanto inconsci. Per anima invece intendo un determinato e circoscritto complesso di funzioni che meglio si potrebbe caratterizzare come ‘personalità’.[…]”

La definizione segue, nelle numerose pagine, con numerosi esempi legati alla psicopatologia circa il sonnambulismo, le cosiddette personalità multiple, dissociazione del carattere, le identificazioni con l’inconscio, il concetto di maschera ovvero Persona, ecc.. Nulla di esoterico quindi, e ciò rimanda sempre alla stessa domanda: Ma chi lo critica o lo usa impropriamente, lo ha mai letto? Molto probabilmente no. Forse Jung, nello stesso capitolo ci indica una traccia che potrebbe spiegare questo fenomeno. Ogni soggetto, “Attraverso la sua identificazione più o meno completa con l’atteggiamento del momento […] inganna per lo meno gli altri, sovente anche sé stesso, circa il suo vero carattere; assume una maschera […] . Questa maschera […] l’ho chiamata Persona, dal nome della maschera che mettevano gli attori dell’antichità” (ib. p.417).

Dott.Alberto Barozzi

www.albertobarozzi.com

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