Di Moira Pulino (insegnante Yoga)

Jung sostiene che l’occidentale non sia in grado di trarre pieno beneficio dalla disciplina dello yoga, per via del suo percorso storico che ha scisso in lui Scienza e Fede; che l’occidentale deve prima conoscere se stesso, il suo inconscio, e poi approdare ad altro. Ma in che modo l’orientale, o quanto meno l’indiano, sarebbe più integrato dell’occidentale? Perché sarebbe ad egli accessibile il mondo a noi negato? Non ha per caso anch’egli un suo inconscio personale da integrare, cui sopra che parla appunto dell’integrazione degli opposti? Perché dunque questo non dovrebbe essere di intralcio per l’indiano e invece “invalicabile” per l’europeo?

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Carl Gustav Jung

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 “Lo Yoga e l’Occidente” di Jung

Nel suo scritto “Lo Yoga e l’Occidente1” Jung comincia col raccontarci l’evoluzione dello scisma che si verificò in Occidente tra scienza e chiesa, e che egli considera la causa principale di divergenza con l’Oriente.
Ci racconta dunque Jung:

“In Occidente le dottrine orientali incontrarono una particolare situazione spirituale che l’India, o almeno l’India dei primi tempi, non conosceva, e cioè la rigida separazione tra scienza e fede che già esisteva, in grado maggiore o minore, da trecento anni, quando le dottrine dello yoga cominciarono ad essere conosciute.”

Questa separazione, fenomeno specifico all’Occidente, ebbe inizio secondo Jung con il Rinascimento, nel quindicesimo secolo. In questo periodo sorse un grande interesse per le antichità, e si diffuse la conoscenza della lingua e della letteratura greca, “con la conseguente invasione della cosiddetta filosofia pagana, il grande scisma della Chiesa romana, il protestantesimo, presto abbracciò l’intero nord Europa”.
Con l’arrivo di questa nuova passione per le scoperte geografiche e scientifiche, il pensiero si liberò sempre più dai vincoli imposti dalla tradizione religiosa. Le chiese naturalmente sopravvissero, ma smisero di dettare legge anche in questioni culturali.

“Nel corso del diciannovesimo secolo si giunse poco per volta a costruzioni sincretistiche e a importazioni massicce di sistemi religiosi esotici, come […] la missione di Ramakrishna, il buddhismo e così via. Molti di questi sistemi, come l’antroposofia, si collegarono con elementi cristiani.”

Tuttavia, questo nuovo stato delle cose imponeva all’individuo una responsabilità religiosa:

“Il protestantesimo, sferrando il suo più forte attacco contro l’autorità della Chiesa, scosse soprattutto la fede in essa riposta quale indispensabile mediatrice della divina salvezza. Sull’individuo ricadde quindi naturalmente il peso dell’autorità, unito a una responsabilità religiosa senza precedenti. Il tramonto della confessione e dell’assoluzione acuì il conflitto morale del singolo, gravandolo di una problematica di cui la Chiesa l’aveva prima sollevato, in quanto i suoi sacramenti, e specialmente il sacrificio della messa, garantivano la redenzione del singolo attraverso la celebrazione sacra compiuta dal sacerdote. Il singolo doveva contribuirvi soltanto con la confessione, il pentimento e la penitenza. Venendo a mancare la celebrazione, mancò la risposta di Dio al proponimento del singolo. Questa lacuna spiega perché si senta il bisogno di sistemi che promettono quella risposta, cioè il favore visibile o percepibile di un Altro (superiore, spirituale o divino).”

Questa scissione ebbe conseguenze anche sul lato scientifico:

“La scienza europea non prese in considerazione queste speranze e queste attese e visse la propria vita individuale prescindendo da convinzioni e necessità religiose. Questa scissione, storicamente inevitabile, dello spirito occidentale, si è impadronita anche della dottrina yoga penetrata in Occidente, facendola da una parte oggetto di scienza, dall’altra salutandola come via di salvezza. “

Da questa separazione nasce naturalmente un conflitto:

“Ciò che però li disturba soprattutto è, naturalmente, il contrasto tra verità religiosa e verità scientifica, il conflitto tra scienza e fede, che dal protestantesimo si estende fino al cattolicesimo. Questo conflitto esiste unicamente in virtù della scissione storica dello spirito europeo. Se non esistessero da un parte una coercizione, psicologicamente innaturale, a credere, e dall’altra una fede altrettanto innaturale nelle scienze, questo conflitto non avrebbe motivo di essere. Si avrebbe allora una situazione in cui qualcosa si sa semplicemente, e in più si crede quel che sembra probabile per questa e quest’altra ragione. Non c’è comunque motivo di conflitto fra queste due cose, necessarie entrambe, poiché la sola scienza, come la sola fede, non bastano mai.
Perciò se un metodo “religioso” si presenta anche come “scientifico”, può essere certo di trovare un pubblico in Occidente. Lo yoga colma quest’attesa […] perché non si limita ad aprire la via tanto cercata, ma dà anche una filosofia d’inaudita profondità, e rende possibili esperienze controllabili, soddisfacendo il bisogno scientifico di “fatti”

Jung spiega inoltre che lo yoga ha nella sua metodologia un altro vantaggio: colma quella necessità occidentale di ordine in antitesi con la mancanza di regole che viene interpretata alla stregua dell’anarchia psichica. Una pratica religiosa o filosofica equivalgono ad una disciplina psicologica e quindi ad un metodo “d’igiene psichica”. Lo yoga impiega per di più anche il corpo nella sua metodologia: i suoi esercizi sono molto superiori alla semplice ginnastica in quanto svolgono un funzione non soltanto meccanica, ma anche filosofica:

“Attraverso gli esercizi, essa mette il corpo in contatto con l’interezza dello spirito, come risulta dagli esercizi del pranayama in cui il prana è al tempo stesso respiro e l’universale dinamica del cosmo. Quando l’azione del singolo è contemporaneamente un evento cosmico, l‘emozione fisica (innervazione) si collega con quella spirituale (idea universale). Ne deriva una vivente interezza che nessuna tecnica, per quanto scientifica sia, potrà mai produrre. La pratica dello yoga è impensabile e sarebbe
anche inefficace senza le idee dello yoga, e coinvolge a un punto raro ciò che è del corpo e ciò che è dello spirito.”

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La Psicoterapia Analitica come Psicoterapia Psicodinamica-Esistenziale

Luca Valerio Fabj

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Secondo Jung, in Oriente, dove queste idee sono nate e praticate da millenni, una tradizione ininterrotta vi ha creato intorno tutte le necessarie premesse spirituali, lo yoga è divenuto naturalmente l’espressione del metodo che può portare alla fusione di corpo e spirito, creando una disposizione psicologica tale da permettere a chi lo pratica di accedere a intuizioni che trascendono la coscienza. L’Occidente invece, è penalizzato dalla scissione tra scienza e fede di cui sopra, nella misura in cui o crede a occhi chiusi senza comprensione o non riesce ad accedere a concetti metafisici per via dell’atteggiamento scientifico.

“Così fin dal principio la scissione dello spirito occidentale rende impossibile un’adeguata realizzazione delle intenzioni dello yoga. O ne fa un fenomeno strettamente religioso o un training di tecnica mnemonica, ginnastica respiratoria, euritmia eccetera, nei quali non si trova traccia di quell’unità e interezza dell’essere, caratteristica dello yoga. L’indiano non può dimenticare né il corpo né lo spirito; l’europeo dimentica sempre l’uno o l’altro”

Jung prosegue il suo discorso portandolo ben oltre. Secondo lui, questa scissione ha permesso all’Occidentale di “conquistare il mondo”: egli conosce la scienza della natura, ma non conosce la propria di natura. Non solo, questa sua potenza si è dimostrata più volte distruttiva piuttosto che costruttiva, ma soprattutto gli impedisce di fare ciò che l’Orientale fa comunque in modo più naturale: integrare gli opposti:

“L’europeo, nel corso del suo sviluppo storico, si è talmente allontanato dalle sue radici, che il suo spirito ha finito per scindersi in fede e conoscenza, come ogni eccesso psicologico si scompone nei suoi opposti. Egli ha bisogno di ritornare alla sua natura, non alla maniera di Rousseau, ma alla sua natura. Suo compito è ritrovare l’uomo naturale; invece non vi è nulla che gli piaccia tanto quanto escogitare sistemi e metodi atti a reprimere l’uomo naturale che gli mette sempre il bastone tra le ruote. Quindi farà immancabilmente un cattivo uso dello yoga, perché la sua disposizione psicologica è completamente diversa da quella dell’Orientale”.

L’orientale esterna molti dei suoi dualismi, unendoli già nella propria iconografia, miti e tradizioni. Nelle pratiche religiose così come nelle tecniche meditative poi, svolge un importante ruolo il Mandala. La parola sanscrita significa “cerchio” e si tratta di un’immagine simbolica con disegni per lo più a base geometrica che, come ci dice la voce del Garzanti “riproduce la coscienza cosmica nel suo divenire”. E’ dunque più un’esternazione di un processo interno che un disegno ermetico:

Nei mandala viene quindi rappresentata in forma simbolica la coincidentia oppositorum. Attraverso il processo di identificazione con lo strumento di meditazione, il meditante riesce a integrare gli opposti dentro di sé, mettendo in atto quel processo che come abbiamo visto Jung definisce funzione trascendente, ossia l’integrazione dei contenuti inconsci da parte della coscienza. Lo scopo della contemplazione dei processi rappresentati nel mandala è la presa di coscienza da parte dello yogin della divinità costituente la sua natura originaria, al di là dell’illusione. …. Fonde il suo Io con Siva,…. Producendo quello spostamento del centro psichico dall’Io al Sé essenziale per la realizzazione del processo di individuazione. [Da Il Pesce e la Pietra, Niccolò Cappelli]

L’occidentale, dice Jung, ha ottenuto superiorità rispetto alla natura esteriore, ma è incapace di riconoscere la propria interiorità verso la natura, sia quella che è in lui sia quella che lo circonda.

“Un guru indiano vi può spiegare tutto e voi potete imitare tutto. Ma sapete chi pratica lo yoga? In altre parole, sapete chi siete e come siete fatti?”

Dovrebbe dunque imparare che non può fare come vuole (anche se tecnicamente possibile) perché altrimenti la propria natura prima o poi lo distruggerà: “egli infatti ignora la sua anima, che gli si ribella contro con atto suicida”
Nell’opinione di Jung lo yoga è senz’altro utile anche all’occidentale, ma in modo limitato, diciamo solo in quanto pratica “igienica” o disciplina, ma non nel suo senso più profondo. Lo yoga vuole portare verso:

“il distacco e la liberazione della coscienza da qualunque dominio da parte dell’oggetto e del soggetto. Dato però che non ci si può separare da quello di cui non si è consapevoli, l’europeo deve per prima cosa conoscere il suo soggetto, cioè quello che in Occidente è chiamato l’inconscio. Il metodo yoga si applica esclusivamente alla coscienza e alla volontà cosciente. Una simile impresa è però promettente soltanto quando l’inconscio non possiede un potenziale considerevole, cioè quando non possiede importanti porzioni della personalità”

Jung ci spiega anche perché in Oriente questo è diverso:

“La ricca metafisica e il ricco simbolismo d’Oriente esprimono una parte grande e importante dell’inconscio, diminuendone il potenziale. Con la parola prana lo yogi intende notevolmente di più del semplice respiro. La parola prana comporta per lui l’intera componente metafisica, ed è come se egli sapesse realmente quel che prana significa sotto questo aspetto. Non lo sa con l’intelletto, ma con il cuore, con il ventre e con il sangue.”

Conclusioni:

Lo yoga, dice Jung, era un processo naturale d’introversione con tutte le variazioni individuali possibili, che porta a dei processi interni che trasformano la personalità. Secondo lui, l’occidentale dovrebbe sviluppare il “suo” proprio yoga, o disciplina, tale che si adatti alla propria struttura storica. In effetti, ci spiega, sia la medicina che la direzione spirituale cattolica, hanno sviluppato metodi che possono essere paragonati allo yoga, come gli esercizi spirituali ed alcuni metodi della psicoterapia moderna, tra cui l’analisi freudiana, ed il training autogeno.

Le Radici dello Yoga Le Radici dello Yoga

James Mallinson, Mark Singleton

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