6 anni fa ho cominciato a fare i primi passi. Mi è stato detto che avevo bisogno di far pace con gli uomini e di ritrovare un po’ di femminilità persa. Allora ero una donna troppo cocciuta e con tante fragilità che sto imparando a superare anche oggi che mi sento una tigre. Mi sono innamorata della musica, soprattutto il tango degli anni ’20 e ’30. Poi ho amato la mia maestra e poi il ballo come sistema di comunicazione di energie.
È stato amore fino ad arrivare alla prima milonga. Ricordo la difficoltà di aggiustarmi nell’abbraccio ma la spensieratezza di non capire nulla del tango mi ha portato a conoscere tanta gente e a cominciare a ballare senza pormi troppe domande. Quelle domande che – inevitabilmente – sono arrivate più tardi.
Inizialmente la milonga era una conquista di tande e di socialità effimera. Anche se nella socialità effimera del tango ho conosciuto delle persone importanti che amo, che mi amano e che rispetto profondamente.
La mente mente e i pensieri possono diventare grigi in milonga. Una sbirciatina alle donne in pista prima di mettersi le scarpe e cominciare a salutare. Poi, non appena ci sistemiamo sulla sedia, cominciamo a fare delle considerazioni tra noi o con la vicina, a volte: “Chissà se arriva ‘tizio’ stasera”, “Mmm mamma mia questa sera ci sono troppe donne e pochi uomini”, “Mmm gli uomini interessanti non ballano con me”. Oppure, le citazioni ‘sempreverdi’ delle donne: “Sono tutte giovani e belle”, “Gli uomini non sono abbastanza e balleranno sempre con le stesse”, “Stasera niente da fare mi sa”. Lo hai detto anche tu che stai leggendo, vero? Be’, ne ho sentite tante in milonga anche da adorabili ballerine. E io stessa sono entrata in questo circolo vizioso. E sai perché? Perché siamo insicure. E cerchiamo le conferme fuori di noi. Poi, quando non riusciamo a ottenere ciò che vogliamo, non ci perdoniamo.
Il tango ci mette a nudo con noi stessi, con le nostre fragilità, con i nostri dolori e con i nostri piaceri. È un gioco a cui spesso non sappiamo giocare. Non capiamo e non sappiamo accettare quando un ballerino non ci vuole, ammesso che sia così. Lo etichettiamo e, a volte, crediamo di perderlo quando non balliamo ‘bene’ come quella con cui balla sempre. “Ecco non mi invita più perché quella volta ero troppo stanca”. Questo è un esempio tra mille che potrei fare. Ora mi metto spesso nei panni di un uomo e penso che quello che davvero cerca sono la complicità e la presenza intesa come personalità. Prima ancora della corrispondenza di tipo ‘fisico’ (altezza, aspetto). Per cui prima o poi troverà il coraggio di provare a ballare con te.
E se diamo voce alle nostre chimere lui ci cercherà tra altre 50 donne? Ma vale la pena fissarci a cercare il suo sguardo non incontrando quello di altri?
Da poco i miei pensieri su tema scivolano in una zona remota del cervello e mi accomodo in quell’angolo da dove riesco a vedere tutti e non vedere nessuno. Generalmente, qui a Londra sto all’angolo, abbastanza vicino alla consolle del tdj, abbastanza lontana dalla mischia. Sì, perché sto vivendo il tango come momento di estraniazione e non come mezzo per conoscere persone.
A volte fantastico di incrociare sguardi che so che non potranno mai incrociare i miei occhi ma questo è perché cerco il ricordo di certi abbracci, quelli che mancano da molto.
“So Hum” in sanscrito significa “io sono” ed è il mantra che recito recentemente anche quando entro in milonga. Tre respiri per lasciare andare quello che mi ha contratto durante la giornata. “Io sono” è un’espressione potente e questo mantra è perfetto per bilanciare il primo chakra radicandoci nell’amore per noi stessi. E connettendoci con la sensazione di essere abbastanza.
Sì, il mio problema è sempre stato quello di cercare delle validazioni esterne e credo che questo abbia influenzato anche il mio tango. Ora, alleggerita di questa zavorra di non essere abbastanza, posso ballare senza aspirare a ballare come le mie stupende amiche ma offrendomi per quella che sono: una donna fortissima, divertente, dall’abbraccio caloroso e dalla postura composta ma assolutamente imperfetta.
Ora mi sento al sicuro. Sono esattamente dove dovrei essere.
Il tango è una ricerca interiore dove io ho confuso l’autostima con l’autoefficacia pensando che io fossi il mio tango. In realtà io sono io (essere vivente) felice di esistere a prescindere dai miei successi o dai miei fallimenti. Il mio tango inizia finalmente da qui, dall’avere ritrovato me stessa.
Non importa che tipo di cambiamento ci troviamo ad affrontare, il cambiamento è parte della vita, e saperlo affrontare al meglio è un’attitudine che abbiamo bisogno di imparare! Quando abbiamo imparato questo, possiamo ballare.

Giovanna Bettio

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